Ciò che caratterizza i gruppi e, in particolare modo, le squadre sportive, è, nella maggior parte dei casi, la struttura gerarchica al loro interno. Di conseguenza per poter comprendere appieno le dinamiche vigenti all’interno di una qualsiasi organizzazione sportiva è necessario focalizzarsi sui processi di leadership. Un leader è un individuo più o meno influente o potente del gruppo, colui che decide la direzione e gli obiettivi del gruppo. Un leader può esercitare il controllo assoluto oppure molti leader possono essere responsabili di svolgere funzioni all’interno del gruppo. La leadership può essere caratterizzata da stili diversi ma indipendentemente dallo stile i leader esercitano una forte influenza su molti aspetti della nostra vita sia in maniera indiretta, prendendo decisioni importanti nel paese in cui viviamo, sia dirigendoci quotidianamente sul posto di lavoro. Per stile di leadership intendiamo quel processo d’influenza interpersonale attraverso il quale il leader propone il raggiungimento di determinati obiettivi. Lo stile è derivato da uno o più leader preposti al compito di conduzione del gruppo; nello sport la funzione può essere esercitata da un dirigente, da un allenatore o da un atleta anziano oppure il ruolo può alternarsi in base alle richieste situazionali (Terreni e Occhini, 2001).
Gli stili più frequenti sono raggruppabili in tre categorie. Innanzitutto è possibile individuare la leadership carismatica, che si basa sulle straordinarie qualità tecniche e umane del leader, induce ogni membro della squadra a sentirsi unito da vincoli di dipendenza affettiva attraverso dei processi di identificazione. Successivamente troviamo la leadership burocratica la quale è determinata dal potere concesso da una parte del consiglio direttivo a un soggetto che assume lo status di leader. Tale sistema risulta spesso regolato da rapporti di tipo gerarchico-formale, di valore scarsamente affettivo. Dunque in questo caso la funzione del leader è ridotta a quella di organo di controllo e di coordinazione. Infine incontriamo la leadership partecipativa la quale non prevede un vero e proprio leader ma uno stile di conduzione autonomo a cui tutti si rifanno. Tale stile dà ampio spazio al riconoscimento del singolo e le motivazioni sono principalmente di tipo superiore come l’autorealizzazione, la qualificazione tecnica o l’achievement (Terreni e Occhini, 2001).
Inoltre è necessario tenere conto che gruppi non esistono in un vuoto sociale ma sono influenzati dal contesto. Di conseguenza nelle ricerche sempre di più viene preso in considerazione il ruolo della situazione. I leader hanno delle caratteristiche della personalità che li rendono adatti a esercitare una forte influenza sugli altri membri di un gruppo. La relazione tra personalità e leadership è attestata da evidenze empiriche. Watson e May (2000) hanno notato che gli allievi ufficiali dell’accademia potessero possedere le caratteristiche ideali da leader e furono giudicati tali da esperti di settore: i membri di un gruppo tendono maggiormente a seguire un leader che sembra sicuro delle proprie capacità ed è deciso nel guidare il gruppo. Mullen, Salas e Driskell (1989) dimostrarono che i membri di un gruppo con buone capacità di eloquio tendevano più facilmente a essere scelti come leader del gruppo, forse perché più tendenti ad attirare l’attenzione su di sè e sono più riconosciuti dal resto del gruppo. Inoltre, é emerso che questi individui devono possedere anche alcune caratteristiche fisiche: essi infatti devono essere più alti (Judge e Cable 2004) e fisicamente più attraenti rispetto ad altri membri del gruppo. L’idea che i leader abbiano una personalità e delle caratteristiche particolari è stata oggetto di critiche crescenti negli ultimi anni.
La maggior parte degli psicologi sociali oggi ritiene che il successo della leadership dipenda dall’interazione tra le caratteristiche del leader e della situazione. Le caratteristiche necessarie affinché un leader risulti efficace possono anche dipendere dalla cultura di appartenenza, che sia collettivista o individualista. Nelle culture collettivistiche, i leader migliori sono coloro che favoriscono le relazioni positive tra i membri del gruppo e incoraggiano un’atmosfera di lavoro fondata sulla cooperazione e sulla coesione. Viceversa nelle culture individualistiche sono considerati i leader migliori quali si concentrano direttamente sul raggiungimento degli obiettivi comuni più che sulle dinamiche del gruppo e che premiano i successi conseguiti dai singoli membri del gruppo (Terreni e Occhini, 2001).
Tuttavia, nonostante la notevole proliferazione di studi e ricerche in questo settore, all’interno della comunità scientifica non vi è ancora un grado di accordo sufficiente nei confronti di una sola teoria. Nonostante questo stato di disaccordo è possibile individuare alcune linee guida per definire una leadership ottimale.
Attualmente, nella condizione delle squadre o dei club sportivi ci troviamo di fronte a delle esigenze sempre più complesse di leadership, non risolvibili coi classici stili paternalistici, permissivi, democratici o autoritari. Una leadership ottimale, in ambito sportivo, dovrebbe possedere dei requisiti di flessibilità e adattarsi alle diverse situazioni. Essa dovrebbe essere una leadership orientata alle relazioni umane e di tipo più flessibile, quando si desidera conservare dei buoni rapporti interattivi all’interno del gruppo e non creare delle nette differenziazioni di status. La leadership ottimale, dovrebbe pertanto disporre di due orientamenti:
- di tipo orizzontale, per coordinare il gruppo e definire ruoli, i rapporti di ruolo, secondo una politica democratica, creando e interpretando l’ideologia della squadra;
- di tipo socioemotivo per distribuire le ricompense e le punizioni, secondo le norme del gruppo e secondi i bisogni dei membri di appartenenza. I legami vengono mantenuti attivando le motivazioni e il piacere di far parte del gruppo.
Secondo Stogdill (1957), le caratteristiche del leader sportivo sono:
- a livello individuale l’intelligenza, la prontezza, la facilità verbale, l’originalità e la maturità di giudizio;
- a livello conoscitivo un buon livello di scolarità e un buon curriculum sportivo;
- a livello di responsabilità personale l’affidabilità, l’iniziativa, la tenacia, l’autocritica e il desiderio di emergere;
- a livello partecipativo l’estroversione, la socievolezza, la cooperazione, l’adattabilità, l’humor e un elevato status a livello sociometrico.
Un interessante approccio alla leadership ottimale viene dalle nuove tecniche di gestione dell’impresa dove l’efficacia del leader è uno dei temi manageriali di maggior rilievo. Gli autori di “ Leadership situazionale”, Hersey e Blanchard (1984), partono dal presupposto che non esiste uno stile di comportamento di leadership valido in maniera assoluta. Secondo l’ottica dei due ricercatori, il leader migliore è il manager che sa adattare il proprio stile alla situazione in cui si trova ad agire. Lo stile di leadership più efficace quindi è quello che deriva dal rapporto fra comportamento direttivo e sostegno socio-emotivo espresso in funzione della situazione ma sopratutto in funzione del grado di maturità dei collaboratori e/o dei membri del gruppo. Per ciò che concerne strettamente l’ambito sportivo è possibile evidenziare che nello sport la funzione di leader può essere esercitata da un dirigente, da un allenatore o da un atleta anziano, oppure il ruolo può alternarsi in base alle richieste situazioni. Si pone quindi il problema di analizzare le variabili situazionali che influiscono su ciascuna figura.
Analizzando la figura dell’allenatore, ad esempio, è possibile notare come il suo ruolo subisca l’influenza di numerose variabili che richiedono competenze e forme diverse di capacità relazionali e manageriali. Fare l’allenatore richiede non solo una buona preparazione, ma anche una personalità sana ed equilibrata. Il trainer deve essere contemporaneamente un tecnico, un educatore e un organizzatore. Egli è il primo portatore delle norme e dei valori del gruppo, il programmatore principale degli obiettivi e il tattico; egli deve interessarsi alle motivazioni dei suoi atleti, agire da moderatore sui conflitti intragruppali e saper utilizzare positivamente l’agonismo. Oltre alle numerose variabili che entrano gioco nel caso del leader allenatore, in generale l’attenzione va posta a:
- la qualità di guida e di direttivi che un allenatore offre;
- la qualità di sostegno socio-emotivo che l’allenatore fornisce agli atleti;
- il livello di competenza (maturità) manifestato dagli atleti o dai membri del gruppo nello svolgere uno specifico compito.
In questo modello per maturità degli atleti si intende il livello di capacità-disponibilità-sicurezza degli stessi ad assumersi la responsabilità di orientare il proprio comportamento diretto a un fine. Ogni atleta può risultare un membro immaturo in rapporto a una specifica funzione o compito e può mostrarsi maturo per lo svolgimento di un altro. Dunque, la funzione principale di un buon allenatore è quella di valutare il livello di maturità degli individui che compongono la squadra ma anche il livello di maturità del gruppo come tale. Difatti è possibile che il gruppo risulti in maniera abbastanza uniforme un gruppo maturo ma che alcuni atleti al suo interno risultino immaturi per il compito. In questo caso l’allenatore deve prevedere la possibilità di comportarsi con il gruppo in modo assai diverso rispetto a quando si trova con ciascun individuo in una relazione “faccia a faccia”.
La figura n.1 (Hersey, Blanchard, 1984) visualizza il rapporto tra la maturità dei membri rispetto al compito e agli stili di leadership appropriati da adottare man mano che la squadra e gli atleti che lo compongono passando dall’immaturità alla maturità. La curva a campana viene definita curva prescrittiva in quanto definisce lo stile della leadership più appropriato al livello di maturità dei membri del gruppo. Il comportamento direttivo è caratterizzato dal grado con cui un allenatore impartisce ordini e prescrizioni; dice agli atleti cosa fare, quando farlo e come farlo. Egli fissa i compiti, gli obiettivi e i ruoli che ciascuno deve svolgere in rapporto al compito. Il comportamento di relazione è il grado con cui l’allenatore si impegna in una comunicazione bilaterale con gli atleti che compongono il suo gruppo-squadra. La maturità dei membri invece è un fenomeno graduale: da un livello basso di maturità (M1) fino ad un livello di alta maturità (M4). Il giusto stile di leadership consiste nell’individuazione del livello di maturità del gruppo e nell’adeguare a esso la giusta combinazione di direttivi e di sostegno. In base alla maturità si ottengono quattro stili diversi di leadership.
- Lo stile S1 per M1: Directing ( bassa maturità ).
Gli atleti che non sono capaci ad assumersi la responsabilità di agire rispetto a un compito risultano non competenti e insicuri. La mancanza di disponibilità ad assumersi le responsabilità, quindi, è una diretta conseguenza della loro insicurezza nei confronti di quanto è loro richiesto. Lo stile prescritto, pertanto, risulta essere lo stile adeguato e più efficace a questo livello di maturità dei composti la squadra.
- Lo stile S2 per M2: Coaching ( maturità medio-bassa ).
Gli atleti sono ancora immaturi per ciò che concerne il compito ma sono disponibili ad assumersi delle responsabilità e hanno fiducia nelle loro possibilità. Lo stile “Coaching” risulta, pertanto, lo stile più efficace a questo livello di maturità in quanto presuppone che l’allenatore metta in atto un comportamento direttivo che compensi la mancanza di competenza da un lato e un comportamento di sostegno che rinforzi la disponibilità e l’entusiasmo degli atleti dall’altro. Lo stile viene definito di “coaching” in quanto la maggior parte delle prescrizioni riguardo al compito provengono dall’allenatore ma esige un tipo di comunicazione bilaterale. Il sostegno che egli offre è necessario dato che gli atleti a questo livello rispettano le decisioni e le prescrizioni dell’allenatore solo se ne comprendono appieno i motivi e gli scopi. L’atleta non è all’altezza per quel che concerne il compito: è l’esempio di un giocatore esperto che si trova a giocare fuori ruolo, ma che nonstante ciò è sicuro delle proprie possibilità perché ha già giocato a fianco di compagni di squadra che ricoprono quel ruolo.
- Lo stile S3 per M3: Supporting ( maturità medio-alta ).
Gli atleti sono competenti per ciò che concerne il compito, ma non sono disponibili ad assumersi responsabilità e sono caratterizzati da una forte insicurezza. La loro competenza contrapposta alla loro riluttanza a fornire il rendimento richiesto è abitualmente un problema di tipo motivazionale; i membri non percepiscono l’importanza della finalità del compito che devono svolgere. Lo stile più efficace con questa tipologia di squadra o atleta è quello che prevede il coinvolgimento. L’allenatore ha il compito di mettere in atto comportamenti che sostengano e rinforzino le competenze degli atleti attraverso la comunicazione a due sensi e un ascolto attivo. Sia l’allenatore che i singoli atleti partecipano agli aspetti decisionali e il ruolo principale del leader-allenatore deve essere quello di agevolazione e comunicazione.
- Lo stile S4 per M4: Delegating (alta maturità):
Gli atleti della squadra sono tanto competenti per il compito assegnato quanto disponibili e sicuri di sé stessi per ciò che riguarda l’assunzione di responsabilità. Lo stile di leadership più efficace è quello che prevede un comportamento di delega, quello cioè che fornisce scarse direttive e scarso sostegno. La responsabilità di mettere in atto le soluzioni e l’attività decisionale è affidata in gran parte agli atleti, anche se è ancora l’allenatore che identifica il compito. Conseguentemente, i membri non hanno un costante bisogno di rassicurazione e di sostegno.
Figura 1 Modello Leadership Situazionale ( Hersey e Blachard, 1984 )
Dunque lo stile di leadership più efficace corrisponde sempre al livello di maturità degli atleti per ciò che riguarda i compiti che essi devono svolgere e, quindi, l’allenatore più efficace è colui che riesce a modellare il proprio comportamento sia in base al livello iniziale della squadra sia in base all’evolversi degli atleti da un livello di bassa maturità a ad alta maturità.
Il modello della leadership situazionale ha un’impostazione teorica prettamente comportamentale e prevede che il sedicente leader-allenatore possa essere addestrato a divenire tale in modo efficiente ed efficace. Ciò che invece sembra essere fondamentale è la capacità dello stesso di adeguarsi ala situazione in cui si trova ad operare, adottando di volta in volta il giusto equilibrio fra comportamento direttivo e comportamento orientato alla relazione con gli atleti.
Il ruolo del capitano di squadra differisce da quello dell’allenatore in quanto, contrariamente a quest’ultimo, egli non è responsabile dell’andamento della squadra o del successo di quest’ultima, Piuttosto egli viene ritenuto responsabile dei rapporti interpersonali e di relazione degli atleti e fra atleti e allenatore-dirigenza. Esso è, in buona sostanza, il mediatore fra i sistemi di bisogno e le richieste delle varie parti (Terreni, Occhini, 2001).
A mio avviso, nel momento in cui si osserva una squadra sportiva è possibile individuare uno o più elementi che si distinguono dal resto del gruppo per abilità tecniche superiori ed un talento innato, i cosiddetti “fuoriclasse”: questi soggetti, tendenzialmente, essendo particolarmente sicuri delle proprie capacità rifiutano qualsiasi tipo di consiglio o decisione decidendo autonomamente come affrontare un match o non rispettando norme o regole in vigore nel gruppo. Sono individui che spesso mettono davanti i propri obbiettivi rispetto a quelli della squadra: per esempio, nel caso del calcio un giocatore di calcio, il fuoriclasse preferisce dribblare più giocatori portando avanti l’azione da solo, rischiando di perdere il possesso, piuttosto che coinvolgere i compagni. Nonostante queste problematiche, il loro punto di forza consiste nella capacità di mettere in campo prestazioni uniche e memorabili e di conseguenza sorge spontaneo chiedersi, alla luce del modello di Hersey e Blachard, quale possa essere lo stile di leadership più efficace per trattare questa tipologia di giocatori. Solitamente questi soggetti mostrano scarsi livelli di maturità tant’è che spesso accade, non solo non sono in grado di portare a termine il compito assegnato ma rischiano di compromettere la performance altrui per via della loro esuberanza. D’altro canto, considerate le loro abilità e capacità non avrebbero nemmeno bisogno di essere seguiti come con un principiante. Pertanto, lo stile di leadership vincente con questo tipo di giocatori risulterà essere un ibrido fra stili diversi: da un lato l’allenatore dovrà tener conto delle loro abilità tecniche e pratiche lasciando una discreta autonomia al giocatore sulle modalità individuali per raggiungere gli obiettivi dall’altro però dovrà favorire un senso di appartenenza e di interdipendenza al gruppo arrivando a renderlo un fuoriclasse all’interno di un collettivo, in grado di favorire sé stesso ma soprattutto i compagni. A quel punto il giocatore si rivelerà non più come un ostacolo al raggiungimento di obiettivi comuni bensì come il tassello fondamentale per poterli raggiungere. Sono innumerevoli gli esempi appartenenti al mondo sportivo di giocatori provenienti da più discipline categorizzabili come fuori classe. La differenza sta tra quei giocatori che sono riusciti a maturare e quelli che per vari motivi non si sono mai evoluti. Un classico esempio di fuoriclasse maturato deriva dal mondo della pallacanestro: Micheal Jordan. Sin dagli anni delle giovanili si è sempre distinto per una fisicità eccezionale, una tecnica unica e una naturalezza ineguagliabile ma col passare degli anni si rese conto che se non avesse iniziato a giocare con la squadra il suo talento sarebbe andato sprecato. Ora è ricordato come uno dei simboli più rappresentativi della storia del basket tanto da aver influenzato schemi e tattiche di gioco. Nel versante opposto, individuando un caso più recente, è possibile evidenziare Mario Balotelli, da sempre un fenomeno dentro al campo ma stigmatizzato da un livello di maturità estremamente basso. Svariati allenatori hanno tentato di reindirizzarlo verso un percorso più ponderato ma i risultati, salvo rare eccezioni non sono ancora arrivati.
Dunque, un buon allenatore non dev’essere solo in grado di cogliere al meglio tutti i segnali che riceve da giocatori, collaboratori, dirigenti o dall’ambiente ma deve sempre essere pronto ad adattare il proprio stile di leadership in qualsiasi momento. Tuttavia, ciò non implica che egli debba comportarsi in modo diverso ogni qualvolta cambi l’interlocutore bensì è necessario un elevato grado di duttilità e pragmatismo.
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