La psicologia sociale costituisce quel ramo della psicologia che si interessa dello studio sistematico delle relazioni umane. Essa rivolge la propria attenzione allo studio dell’interazione e della comunicazione dei gruppi sociali. Il gruppo è generalmente definito come un insieme di individui uniti da una medesima spinta motivazionale e strutturato secondo delle specifiche modalità di interazione ideologica (Palmonari, Cavazza e Rubini, 2012). Secondo Gurvitch (1960), questo può essere di tipo:
- primario, in cui lo scopo è quello di soddisfare i bisogni emotivi e sociali dei membri. Esso può essere costituito di fatto e vi si appartiene senza obblighi o di tipo volontario e vi si partecipa per adesione spontanea ( es.famiglia, cerchia di amici stretti, associazioni culturali, ecc. );
- secondario, in cui lo scopo è quello di raggiungere degli obiettivi specifici; esso può essere imposto da coazioni esterne o da contratto ( es. aziende, organizzazioni di eventi, ecc. );
- sociologico, costituito da individui che condividono delle attività comuni ( es. classi sociali, caste, ecc. );
- psicologico, costituito da individui che condividono una comune esperienza a forte risonanza emotiva (es. la squadra sportiva).
La squadra sportiva può essere considerata come un gruppo primario o volontario a forte rilevanza psicologica e sociologica, con eventuali implicazioni secondarie di tipo contrattuale (se professionistica).
La psicologia dello sport è una disciplina che si è sviluppata in ambito accademico e nel mondo dello sport a partire dalla seconda metà degli anni ‘60. Infatti, in quegli anni Ferruccio Antonelli, il francese Michel Bouet e gli spagnoli José-Maria Cagigal e José Ferrer-Hombravella durante un congresso di medicina dello sport decisero di organizzare il primo congresso mondiale di psicologia dello sport, che si tenne a Roma nel 1965 e che vide la partecipazione di circa 400 studiosi provenienti da 27 nazioni (Cei, 1998).
In tale occasione venne fondata la prima società internazionale di psicologia dello sport, l’International Society of Sport Psychology (ISSP) della quale Antonelli fu eletto presidente. Da quegli anni la psicologia dello sport si è affermata nell’ambito delle scienze dello sport e di quelle cognitive e non solo come disciplina accademica ma pure in ambito applicativo. Anche la crescita del numero di esperti di questo settore testimonia dell’avvenuta diffusione della psicologia dello sport. Infatti, se nel 1981 si potevano contare circa un migliaio di esperti presenti in 39 nazioni, solo dieci anni dopo questo numero era quasi raddoppiato. Rispetto al lontano 1981, quando questa presenza era inferiore al 50%, attualmente la maggior parte degli psicologi dello sport svolge questa attività a tempo pieno nelle aree dell’insegnamento, della ricerca e della consulenza.
Tradizionalmente, la psicologia dello sport si è diffusa in maniera significativa quando è stata riconosciuta dal mondo sportivo come ambito conoscitivo in grado di fornire un valido contributo al miglioramento della prestazione sportiva degli atleti delle squadre nazionali. Basti pensare che già per le olimpiadi di Los Angeles del 1984 ben 20 psicologi canadesi lavoravano con atleti e atlete che vi parteciparono e che nel 1988 a Seoul la maggior parte delle rappresentative dei paesi industrializzati comprendeva questa figura professionale all’interno dello staff. Tuttavia, oltre il Canada, gli USA, l’Australia, il Giappone, la Svezia, la Germania e l’Unione Sovietica, anche nazioni in via di sviluppo, quali ad esempio, l’Algeria, la Nigeria, la Colombia e Cuba utilizzavano psicologi dello sport a dimostrazione del fatto che questa disciplina stava iniziando a diffondersi a macchia d’olio. Per quanto riguarda l’Italia, solo a partire dalle olimpiadi di Atlanta, un numero relativamente ampio di psicologi dello sport vi ha partecipato e questi erano inseriti negli staff del tiro a volo, tiro a segno, tiro con l’arco, pallanuoto, pallavolo canottaggio e vela.
Le competenze dello psicologo che lavora nello sport di alto livello sono abbastanza diversificate e può essere utile descrivere quelli che sono i compiti del consulente (Cei, 1998):
- Definire le abilità cognitive tipiche di uno sport e identificare i punti di forza e le aree di miglioramento dell’atleta o della squadra;
- Condurre riunioni di gruppo allo scopo di migliorare la comunicazione fra gli atleti, fra i membri dello staff fra questi due gruppi;
- Insegnare agli atleti e agli allenatori tecniche di allenamento mentale, quali ad esempio il goal setting, tecniche di attivazione/disattivazione oppure tecniche per il miglioramento della concentrazione;
- Fornire strumenti per migliorare le capacità di lavorare in condizioni di elevato stress competitivo;
- Collaborare con l’allenatore, fornendogli idee e feedback relativi al suo modo di rapportarsi con gli atleti e con lo staff e suggerimenti per modificare eventuali suoi atteggiamenti non funzionali al raggiungimento degli obiettivi fissati.
- Collaborare con lo staff sanitario e dirigenziale.
Inoltre, è necessario che il consulente, dato l’elevato grado di responsabilità che comporta la sua attività, stabilisca dei parametri su cui valutare la propria prestazione professionale e che la bontà di questi criteri sia condivisa dai sui clienti.
La psicologia dello sport per l’alto livello è solo uno dei possibili campi applicativi, anche se è quello che ha favorito in modo determinante l’accreditamento di questa disciplina ( Cei, 1998).
La psicologia dello sport opera all’interno di due grandi ambiti, quello dello sport di prestazione assoluta e quello dello sport per tutti e all’interno di questi contesti, così diversi tra di loro, si sono sviluppati i temi di ricerca che caratterizzano questa disciplina e che possono essere classificati in otto aree d’indagine:
- i processi cognitivi coinvolti nel controllo motorio e nella prestazione sportiva, allo scopo di comprendere le modalità di apprendimento delle abilità motorie e/o sportive o come descrivere le prestazioni eccellenti. Sono esemplificative a tale riguardo le indagini relative agli studi sui processi cognitivi implicati nell’organizzazione del movimento, sui processi di elaborazione dell’informazione, sull’apprendimento e sul controllo dei movimenti e sulle differenze fra esperti e principianti;
- le abilità psicologiche implicate nei diversi tipi di discipline: come identificarle e come allenarle negli atleti. Fra le più importanti vi sono l’immaginazione mentale, il goal setting, l’autoefficacia, l’attenzione, i processi di autoregolazione e le abilità interpersonali;
- i processi motivazionali che favoriscono il coinvolgimento sportivo e il mantenimento nel tempo dell’interesse verso la disciplina scelta. La motivazione alla riuscita e i processi psicologici coinvolti nella costruzione delle aspettative riguardanti le prestazioni successive. Oggetto di analisi è stata anche l’interazione fra l’ambiente sociale nel quale vive l’atleta e la sua motivazione intrinseca;
- il ruolo dell’allenatore e dell’organizzazione dell’allenamento nel favorire l’apprendimento e la correzione dell’errore;
- i programmi sportivi per l’infanzia e la loro applicazione nel guidare i bambini a effettuare esperienze per loro gratificanti e psicologicamente positive;
- il benessere e la salute: l’attenzione di chi ha studiato questo tema si è orientata su come favorire l’adesione dei soggetti sedentari a programmi di attività fisica e come mantenere nel tempo questo impegno. Inoltre è stato studiato il ruolo dell’attività fisica nella rieducazione di soggetti cardiopatici o colpiti da altre malattie;
- le abilità interpersonali e le dinamiche di gruppo, gli stili di leadership e i modelli decisionali e, più in generale, i processi di comunicazione fra i membri di un gruppo;
- i processi di autoregolazione, i livelli di attivazione e i sistemi per affrontare lo stress agonistico. L’ansia sia come dimensione psicologica individuale relativamente stabile, che come condizione sollecitata da specifiche condizioni dell’attività sportiva e come si può identificare in ogni atleta la condizione pre-gara ottimale.
Come si è visto, la psicologia dello sport è una disciplina in forte espansione in tutto il mondo, basti pensare che esistono ben cinque riviste internazionali dedicate solo a questo ambito conoscitivo ( es. “Giornale Italiano Psicologia dello Sport” ,”Athletic Insight – The Journal of Sport Psychology”, ecc. ). Ciò comporta non solo un rapido sviluppo della conoscenza ma anche una specializzazione sempre maggiore fra gli esperti del settore, come d’altra parte è già avvenuto per la medicina dello sport. Tuttavia, per poter muoversi all’interno di una disciplina come la psicologia dello sport è necessario comprendere il funzionamento, la struttura e l’entità delle squadre sportive nonché dei gruppi (Cei, 1998).
Dunque, il crescente interesse nei confronti della psicologia dello sport evidenza il fatto che il ruolo dell’allenatore divenga man mano sempre più variegato e articolato. Questa figura deve essere in grado di ricoprire numerose aree peculiari al mondo dello sport: egli deve essere in grado di motivare i propri atleti al raggiungimento dei rispettivi traguardi prestando attenzione tanto all’aspetto pratico quanto all’aspetto socio-emotivo. Considerare l’attività fisica come fine a se stessa risulterebbe eccessivamente riduttivo, escluderebbe tutta la gamma di emozioni e benefici che sono parte integrata di esso.
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